Kyle Clayton è un adolescente strano.
Kyle vive con il padre Lance, separato dalla moglie e scrittore fallito, che lavora come insegnante di poesia altrettanto fallito nello stesso istituto superiore dove Kyle studia.
Kyle ha un solo amico, Andrew, che vive senza il padre assieme alla madre alcolizzata, con il quale Kyle ha un rapporto morboso di protezione e dominazione, tanto per farsi grosso.
A scuola tutti detestano Kyle e non a caso, visto che Kyle è proprio uno stronzo e lo è in maniera del tutto genuina, a dispetto del luogo comune che vuole i figli problematici vittime di cattivi genitori.
Lance è infatti un padre ordinariamente sbadato ma comunque amorevole e presente. Solo dopo l’ennesimo insulto del figlio, conclusosi con la banale frase di rito «non ti ho chiesto io di venire al mondo», si lascia sfuggire il doppio senso di un «neanche io lo volevo».
Kyle è invece un giovane frustrato, nichilista, ignorante, disfattista, offensivo, volgare, sessista, sporco, astioso e bugiardo, obbiettivamente poco intelligente ma, soprattutto, Kyle è un incallito erotomane.
Kyle si masturba sbirciando dalla finestra l’attempata vicina di casa Bonnie, si masturba sulla foto della fidanzata e collega del papà scattata da sotto il tavolo, si masturba su Internet e ha un dichiarato culto della vagina e una fissazione per i rapporti anali.
È proprio durante una delle sue pratiche masturbatorie estreme che Kyle ci lascia le penne, morendo strangolato.
È il padre che lo rinviene oramai cadavere. Dapprima lo abbraccia e si dispera ma poi, per salvarne la memoria, ne inscena il suicidio per impiccagione, appendendolo alla sbarra appendiabiti dell’armadio.
Per rendere la scena più plausibile, Lance scrive pure un biglietto di addio e glielo infila nella tasca della camicia perché possa essere rinvenuto.
Lo scritto che in qualche modo compare in Internet diviene virale: denota una profondità e una disperazione esistenziale che non si erano sospettati in Kyle, semplicemente perché sono farina del sacco del padre.
Attorno a Kyle si forma un specie di culto. Da persona tanto detestata in vita, in virtù di una spontanea falsificazione collettiva della memoria, Kyle diviene un personaggio mitico, venerato e idealizzato.
Ciascuno ha bisogno di riconoscersi in Kyle, di dirsi quanto lui era speciale, di far parte di quella ispirata esaltazione generale che li fa sentire meno vuoti e soli, perché tutti alla stessa maniera ricolmi di ammirazione, di amore, di riconoscenza nei confronti del compianto Kyle.
Vuoti, soli e pure falsi: la fidanzata sempre arrapata di Lance, tanto calda nelle mutande quanto umanamente incapace di consolarlo, il collega di Lance che si vanta di come sia impegnativo fare il padre separato, quando in realtà vede il figlio solo una vota ogni quindici giorni, il preside che in tempi non sospetti avrebbe voluto sbattere Kyle in una “scuola per ritardati”, la studentessa “emo” per convenzione, lo studente omosessuale “velato” ecc. ecc.
Le continue richieste di dettagli sulla vita privata di Kyle convincono il padre a scrivere un falso: il diario di Kyle, che rischia di diventare un bestseller.
Da scrittore fallito, Lance ottiene il meritato riconoscimento seppure come ghost writer; viene persino invitato in tv e, sotto i riflettori di una insperata celebrità, brilla ora della luce riflessa del figlio defunto.
O meglio viene raggiunto dalla sua ombra. Sì, perché ora il padre è divenuto un personaggio altrettanto disgustoso del figlio: uno stronzo pure lui, esecrabile per giunta.
È quanto gli diranno quando avrà reso pubblica confessione, nel bel mezzo della cerimonia di inaugurazione della biblioteca scolastica in nome di Kyle, rompendo l’incanto: «A voi non piaceva Kyle, ma non fa niente, neanche a me. Io lo amavo, era mio figlio, ma era anche uno stupido, non era affatto intelligente. E non si è suicidato. Kyle è morto accidentalmente mentre si masturbava. Ho inscenato io il suo suicidio, e ho scritto il suo biglietto di addio. E anche il suo diario», lasciando quegli ipocriti ammutoliti, lì a dover fare i conti con la propria compiacente idiozia.
Ora nessuno può più sentirsi così tanto buono, pio, appassionato. Ora sono tutti dei "poveri imbecilli", come avrebbe detto Kyle e come ci insegna un Hans Christian Andersen de "I Vestiti Nuovi dell'Imperatore": la verità mette a nudo.
È questo un film sulla FAMA MONDANA, sul bisogno cioè di rivestirla o di ammantarne personaggi improbabili, solo perché si è poveri di ideali ed è meno impegnativo che coltivarli il vederli incarnati in un personaggio da idolatrare, meglio ancora se un martire da compiangere. Ecco perché a morire sono sempre i migliori.
Libero da questa allucinazione collettiva ne è Lance solo dopo la sua confessione, subito seguita da un simbolico tuffo nella piscina della scuola, così ridicolo lui completamente nudo salvo i pedalini, ridicolo ma non patetico, perché finalmente vero.
Lance si ritroverà alfine assieme all’amico nerd del figlio e alla vicina di casa, in gran segreto una collezionista compulsiva, sul divano tutti e tre, quasi una famiglia, a gustarsi una maratona televisiva di film sugli zombi.
In buona compagnia dunque, perché «non c’è cosa peggiore dell’essere soli che stare con chi solo ti ci fa sentire».
Il solito immenso Robin Williams in un film made in USA del 2009, "IL PAPÀ MIGLIORE DEL MONDO", per la regia, soggetto e scenografia di Bobcat Goldthwait. Da vedere.