"Un Altro Giro" (regia di Thomas Vinterberg, Danimarca, 2020), racconta la storia di quattro insegnanti di liceo, disillusi e in andropausa che, per trovare un rimedio ad una vita fatta ormai solo di noia, indifferenza ed insoddisfazione (sia sul piano sociale che su quello professionale), decidono di sperimentare la teoria attribuita allo psichiatra Finn Skårderud.
Secondo questa millantata teoria (ma si tratta di una diceria solamente), correggendo un presunto difetto congenito di alcol nel sangue, pari allo 0,05% (né più né meno), migliorerebbe la performance e la qualità della vita di ognuno, conducendo persino al successo personale.
I quattro frustrati iniziano così a bere solo nell’orario di lavoro e, "come faceva Hemingway, mai dopo le otto di sera né nei weekend".
La parabola discendente e tragica di questa condotta alcolica è immaginabile e il quartetto dovrà ben presto fare i conti con le conseguenze di questa "ricerca scientifica".
Triste metafora di una Danimarca libera ed ebbra, in cui è normale che tutti si ubriachino, in cui i giovani arrivano a bere 50 bicchieri di birra, whiskey, vino, etc. alla settimana, organizzando corse alcoliche attorno al lago e divenendo elemento di scompiglio, ma anche di vitalità , in un paese altrimenti freddo, austero, fatto e dominato da adulti demoralizzati, grigi e sciupati come i componenti del nostro quartetto.
"Cos'è la giovinezza? Un sogno. Cos'è l'amore? Il contenuto del sogno", così scriveva Søren Kierkegaard, filosofo, teologo e scrittore danese. Il film è il tratteggio demoralizzante di una generazione degenerata (mi si conceda il gioco di parole), che ha perso oramai ogni capacità di sognare.